“Culture eats strategy for breakfast”

“Culture eats strategy for breakfast”

27 Lug 2022 - Articoli

“Culture eats strategy for breakfast”

Culture eats strategy for breakfast”, diceva Peter Drucker riferendosi alla vita in azienda.

Ma cosa c’entra “The Breakfast Club”, amatissima pellicola  del 1985, a parte il gioco di parole?

 

L’importanza e l’impatto della cultura aziendale non sono mai stati così sentiti, e davanti a quello che sembra essere il crollo di paradigmi dati per scontati da anni si assiste ad un deciso movimento di “riscoperta” degli elementi connessi alla soddisfazione dei bisogni più elevati degli individui,  alla creazione di senso per la propria attività lavorativa ed allo sviluppo di politiche sempre più centrate sul motto “people first”.

Ma a fronte di tutto questo quali risposte concrete emergono dalle organizzazioni aziendali che non corrano il rischio di essere ridotte a semplice “moda” del momento?

Fenomeni relativi al mondo del lavoro che non è più possibile definire semplicemente come passeggeri chiedono una rilettura di senso e di significato profonda, e che deve necessariamente partire dal rapporto fra persone ed azienda e dalle basi stesse della partecipazione al team.

Recuperando la Curva della Performance di Whitmore, al maggiore sviluppo di una cultura aziendale centrata sull’indipendenza, l’interdipendenza  e sull’abbandono della “ricerca del colpevole” come pratica consolidata aumentano proporzionalmente anche le prestazioni: la Leadership Situazionale di Hersey e Blanchard obietterebbe sicuramente che per innescare questo processo è tuttavia necessario che le persone siano pronte ad accettarlo e governarlo gradualmente in modo sempre più mirato, ma adesso è forse  necessario invertire i fattori e creare culturalmente lo spazio affinché le persone riescano a definirsi autonomamente all’interno di spazi necessariamente sempre più ampi, o lo scollamento percepito sarà senz’altro destinato a crescere.

Ipotesi forse esagerata per qualcuno, ma è necessario ricordare che i cambi di paradigma diventano pienamente evidenti e condivisi soltanto quando sono completamente maturi e non possono più essere relegati a semplice “fenomeno”.

Ed anche se c’è confusione rispetto alla reale lettura dei dati relativi alle grandi dimissioni (sembra adesso che chi ha provato a cambiare vita sia pentito, e voglia tornare indietro… ma con quali risultati? Link) forse, più che provare ad etichettare e prevedere ogni cosa, potrebbe essere utile ripartire dalle basi e “riscoprire” che per avere il coinvolgimento delle persone bisogna prima creare un ambiente coinvolgente dove queste vogliano stare, e che probabilmente questo non sarà alla portata di chi non sia disposto ad una effettiva rimessa in discussione di alcuni modelli, pensando di poter affrontare il tutto con qualche banale concessione condita dalle consuete e abusate “keywords” sullo sviluppo personale.

 

 

“Sì, ma Breakfast Club che c’entra alla fine?”

Spero abbiate visto il film, e quindi ricorderete a grandi linee la trama: inseriti in una “detention” di sabato mattina per vari motivi, cinque studenti sfruttano quell’inatteso spazio di riflessione per conoscersi meglio, entrando in contatto prima con gli elementi non immediatamente visibili della propria personalità e poi scoprendo una serie di risorse inattese che li porteranno a ridiscutere molte cose del loro approccio al “sistema”. Tutto questo avviene malgrado, nella logica “comando e controllo” del vicepreside, perdere la giornata del sabato chiusi a scuola dovesse rappresentare una punizione, con l’aggravante della scrittura di un “tema” che i cinque protagonisti alla fine svolgono… stravolgendo completamente il senso del compito assegnato.

 

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