Formatore o Coach?

Formatore o Coach?

18 Mag 2022 - Articoli

Formatore o Coach?

Decidere di esplorare nuove aree di attività significa anche contaminare la propria identità professionale, consapevole del fatto che ogni nuovo tassello di capacità e competenze non può che poggiare su quelle precedenti, a volte creando strani ibridi ed altre ampliando orizzonti che si credevano già ben conosciuti.

Sarà per questo motivo che mi è venuta voglia di tracciare un parallelo tra coaching e formazione, o meglio ancora tra la figura del coach e quella del formatore esperienziale… o forse perché i dati dell’International Coaching Study di ICF riportano che il 61% dei professionisti attivi come coach opera anche come formatore?

Partiamo dagli obiettivi

Nel coaching gli obiettivi sono fondamentali, attentamente suddivisi fra obiettivi del coachee, del coaching e della specifica sessione. “Senza obiettivi non c’è coaching”, mi hanno insegnato. Ma non è vero anche per la formazione? Cosa succede ad un corso di cui non siano chiari gli obiettivi formativi? E quante volte è necessario trovare un punto di incontro tra gli obiettivi della committenza , le aspettative dei partecipanti e le reali possibilità della formazione (e del formatore)?

Gli strumenti

Se penso ai markers del coaching, molti di questi sono già presenti nel bagaglio di un formatore professionista:

  • “stabilire e mantenere accordi” : le tematiche focalizzate dalla formazione devono essere definite e concordate a priori, c’è un percorso tracciato da seguire… possibile cambiare obiettivo, ma solo quando questo venga come richiesta diretta e non come singola iniziativa del formatore;
  • “coltivare fiducia e sicurezza”: nessuno sarà disponibile ad apprendere qualcosa da chi non ritenga degno di fiducia, sia questa professionale (intesa come effettiva conoscenza delle tematiche trattate) che personale… in fondo un formatore chiede prima di tutto coinvolgimento ai propri partecipanti, e senza una sufficiente percezione di sicurezza questo non si realizzerà;
  • “mantenere la presenza”: ogni formatore che si rispetti è sempre consapevole del proprio ruolo, in qualsiasi modo decida di declinarlo. Decidere di trascurarlo o abbandonarlo sicuramente farà naufragare l’aula, indipendentemente dal programma o dai contenuti;
  • “ascoltare attivamente”: capacità fondamentale per ogni coach, così come per ogni formatore. “Perdersi” l’ascolto dell’aula significa inevitabilmente lanciare messaggi poco efficaci, e tendenzialmente destinati a perdersi.
  • “evocare consapevolezze”: anche quando la formazione sia di natura strettamente “tecnica”, prima ancora del contenuto è necessario lavorare affinchè i partecipanti riescano a collocarlo nella propria operatività ed a coglierne un possibile utilizzo pratico. Se non è chiaro “a cosa mi serve”, nessun percorso produrrà risultati;
  • “facilitare la crescita del cliente”: cos’altro è la formazione, se non un processo portato allo sviluppo? Se non c’è stata una evoluzione, non si può dire di aver avuto formazione…

Forse il parallelo più interessante che mi sento di tracciare è fra la sessione di coaching ed il debriefing tipico della formazione esperienziale, declinato secondo tre classiche domande post-attività:

  • “cosa vi ha colpito, di come avete affrontato l’attività?” : qui necessariamente si vuole evocare consapevolezza rispetto a quanto è successo. Va bene affrontare il fiume in canoa, preparare una cena per tutto il team o costruire una torre di spaghetti ma “fuori dalla metafora” che parallelo tracciano i partecipanti fra quanto appena successo e ciò che sperimentano quotidianamente al lavoro?
  • “di quello che avete provato qui, cosa vi sarà utile in azienda?” : un richiamo chiaro agli apprendimenti, che vengono sottolineati e contestualizzati affinché possano risultare effettivamente utili. O, come piace dirla a me “Va bene, adesso siete bravissimi a passarvi palline da ping-pong. Che ve ne fate sul lavoro?”
  • “Di quello che abbiamo visto insieme, cosa volete cominciare a mettere in pratica?” : non c’è formazione senza cambiamento concreto, ed anche nel coaching il passaggio all’azione è fondamentale. Anche la “scelta” di un aspetto da focalizzare deve necessariamente venire dai partecipanti, richiamando fortemente i task auto-assegnati del coaching .

Quindi… la stessa cosa?

Non vorrei che a questo punto il messaggio del post potesse suonare come un “è tutto uguale”, le differenze ci sono, ed anche nelle scelte aziendali averle chiare è fondamentale per decidere se formare o “coacchare”.

Ma volevo evidenziare questi punti di contatto che mi hanno colpito e provare a definire una similitudine che a volte davvero marcata, e penso in particolare alle situazioni di team coaching.

A questo punto la parola ai colleghi “di entrambe le parti”, con precedenza a chi giochi tutti e due i ruoli con una certa regolarità…

Cosa ne pensate?

Tag: , , ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *